Un milione di euro della Regione Sardegna per il calice d’oro di papa natzinger

Un milione di euro è la cifra stanziata dalla Giunta Regionale e assegnata alla Curia Arcivescovile della Diocesi di Cagliari, “per consentire la migliore accoglienza al Pontefice nella giornata che trascorrerà a Cagliari”. Benedetto XVI, l’altra domenica, parlando da Castel Gandolfo si è rivolto ai rappresentanti del G8 perché “si adottino coraggiosamente tutte le misure necessarie per vincere i flagelli della povertà estrema, della fame, delle malattie, dell’analfabetismo, che colpiscono ancora tanta parte dell’umanità. Mi rivolgo quindi ai partecipanti all’incontro di Hokkaido, affinché al centro delle loro deliberazioni mettano i bisogni delle popolazioni più deboli e più povere”.

In sostanza, vanno bene le preghiere, ma occorrono anche gli atti formali, servono le risorse e una loro diversa distribuzione. Sempre la Regione, per il 2008, ha finanziato la legge 162 (misure di sostegno a favore di persone con handicap) con 41 milioni di euro, da ripartire fra 13mila domande di assistenza, che, diventano 3.078 euro a famiglia. Oggi, per disporre di tre ore di assistenza giornaliere occorrono 14mila euro nell’arco dell’anno. Cifre lontanissime dal reale fabbisogno. Cifre che non assicurano una assistenza da Paese civile.

Le stime sui poveri della Sardegna si attestano a quota 375mila, ma è un dato indicativo e di gran lunga sottostimato. Anche il lavoro è oramai voce fuori mercato, fatta eccezione ai surrogati del lavoro: irregolare, precario, del vero e proprio sfruttamento di manodopera specialmente giovanile, largamente praticato da avventurieri e gaglioffi paludati da imprenditori, neppure tanto anonimi per chi ha il dovere e la voglia di perseguirli.

Occorre una politica rivolta verso il sociale, più che altro servono soldi, e quelli non li abbiamo. E’ in tale contesto che stride quel milione di euro e nella finalità: “la migliore accoglienza”.

Per altro, come osserva Curzio Maltese su Repubblica, “la Chiesa cattolica è l’unica religione a disporre di una dottrina sociale, fondata sulla lotta alla povertà e la demonizzazione del danaro, sterco del diavolo. Vangelo secondo Matteo: E’ più facile che un cammello passi nella cruna dell’ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. Ma è anche l’unica religione ad avere una propria banca per maneggiare affari e investimenti, l’Istituto Opere Religiose”.

“La sede dello Ior, osserva sempre Maltese, è uno scrigno di pietra all’interno delle mura vaticane. Si entra attraverso una porta discreta, senza una scritta, una sigla o un simbolo. All’interno si trovano una grande sala di computer, un solo sportello e un unico bancomat”. Una cruna d’ago, si dice, attraversata da carovane di cammelli. La stima parla di 5 miliardi di euro di depositi.

Ma il vero business sono le campagne dell’ “otto per mille” per la Chiesa cattolica, che ogni anno, alla vigilia della denuncia dei redditi, radio e televisione trasmettono uno spot pubblicitario di pregevole fattura con immagini accattivanti: bambini poveri, derelitti del pianeta e qualche prete di campagna con quattro galline. Una inchiesta – sempre di Repubblica – ricorda la campagna dell’otto per mille del 2005, quella in favore delle vittime dello tsunami. Un capolavoro mediatico. Quello spot pubblicitario, come quelli precedenti venne realizzato dalla multinazionale Saatchi & Saatchi, che – secondo Il Sole 24 Ore – venne a costare alla Chiesa nove milioni di euro, mentre alle vittime dello tsunami vennero donati tre milioni (fonte CEI).

Lunga vita alle quattro galline di quel prete di campagna. E sì, perché, come spiega il giornale Avvenire (organo d’informazione della CEI), soltanto il 20 per cento vengono devoluti in opere di carità mentre l’80 per cento rimane alla Chiesa.

C’è dell’altro. La maggior parte dei cittadini che compilano il 730 e non esprimono preferenze per la destinazione dell’otto per mille, non sanno, anche perché nessuno si è mai preoccupato di informarli, che il 60 per cento di quelle quote vengono ugualmente assegnate agli enti religiosi e che la fetta più grossa finisce nelle casse della CEI (intorno ai 600 milioni).

Questo meccanismo adottato dallo Stato in favore della Chiesa è assai diverso dal trattamento riservato alle quote del “cinque per mille”, destinate alle associazioni di volontariato e alla ricerca.

Infatti, nel 2007 – evidenzia l’inchiesta di Repubblica – il governo ha fissato a 250 milioni il tetto massimo per questo fondo e le eccedenze trasferite dall’erario. Nella sostanza, lo Stato regala 600 milioni delle quote non espresse dell’”otto per mille” alla Chiesa, mentre sul versante delle quote del cinque per mille, sottrae 150 milioni di quote espresse alle onlus e alla ricerca.

C’è anche chi, delle quote dell’otto per mille, ne ha fatto un uso spregiudicato e opposto alle finalità di quella scelta. Nel 2004, ad esempio, il Governo Berlusconi ebbe la pensata di utilizzare 80 dei 100 milioni di quel gettito per le missioni militari all’estero.

Che la Chiesa goda di trattamenti privilegiati da parte dello Stato, qualunque sia il Governo, si evince dall’assegnazione delle quote non espresse dell’otto per mille. Infatti, mentre alla Chiesa cattolica vengono versati in anticipo – osserva Repubblica – alle altre confessioni sono assegnati con tre anni di ritardo.

Riepilogando, così riassume i dati Repubblica: “oltre quattro miliardi di euro all’anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell’otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell’ora di religione, altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c’è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all’ultimo raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell’ultimo decennio, di 250 milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di un’inchiesta dell’Unione Europea per “aiuti di Stato”. L’elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l’Ici (stime “non di mercato” dell’associazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini”.

Anche la periferia ecclesiastica, tuttavia, non scherza: prime comunioni, cresime, matrimoni, funerali e persino le campane a morto hanno un tariffario, oppure, offerta minima trenta euro.

Aldilà della pecunia che, come dimostrato, da qualunque parte arrivi “non olet”, alla Chiesa, alle parrocchie, quelle che non appaiono negli spot pubblicitari, deve essere, tuttavia, riconosciuto il ruolo, sempre più spesso indispensabile nell’ambito del sociale, che insieme alle associazioni di volontariato, sopperiscono all’assenza dello Stato e delle Pubbliche Amministrazioni in materia di welfare. Una sorta di delega ai preti e agli “uomini e donne di buona volontà” che devono provvedere alle emergenze sociali: dalle nuove povertà alle politiche dell’immigrazione. Fra questi, spicca la Caritas di Cagliari divenuta un insostituibile punto di riferimento e di ricovero di una sempre più vasta “corte dei miracoli”. Questo è il punto: questa dilagante “corte dei miracoli”, questa emergenza sociale verso cui sarebbero necessarie politiche e risorse adeguate e costanti.

Si comprende l’importanza della presenza in Sardegna del Pontefice, ma di fronte ai nostri quotidiani bisogni sociali e le deficitarie risorse finanziarie era proprio indispensabile un milione di euro pronta cassa? Ma se era davvero necessario il gesto, tenuto conto che il Vaticano, come visto, gode di ben altri appannaggi, anziché finalizzare un milione di euro “per la migliore accoglienza del Papa”, si poteva devolverlo in assistenza, in opere benefiche come sottolineatura della circostanza. Benedetto XXI, senza dubbio, avrebbe gradito.

Fonte: http://www.altravoce.net/2008/07/16/papa.html

Un calice di oro sardo per la messa del Papa
È fatto interamente con oro sardo della miniera di Furtei, l’unica attiva in Italia, il calice che Papa Benedetto XVI utilizzerà per la messa davanti alla basilica di Bonaria durante la visita in Sardegna del prossimo 7 settembre.
Un calice di oro sardo Stamane l’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Mani ha presentato le iniziative per le celebrazioni della festa dell’Assunta che questo fine settimana aprono ufficialmente il periodo di preparazione alla visita del pontefice nel capoluogo sardo.
Domani sera, durante la messa della vigilia dell’Assunta, alle 21 nella cattedrale di Cagliari, l’Arcivescovo consacrerà il nuovo calice realizzato con 1,5 kilogrammi d’oro e una quarantina di pietre, tutte provenienti dalla Sardegna. Mani ha ricordato l’importanza delle celebrazioni per la morte e resurrezione della Vergine in Sardegna, in occasione della quale – ha annunciato lo stesso arcivescovo – ci sarà anche l’esposizione nel museo Diocesano, dopo un complesso restauro, dei Paramenti detti di Sant’Agostino.Gli abiti sacri, anche se di epoca medievale, sono associati alle vicende del corpo del santo. L’Arcivescovo, ricordando il programma dell’incontro con il Papa, ha inoltre lanciato un appello ai sardi, perchè partecipino alla sua giornata di visita, il 7 settembre prossimo. L’invito è stato rivolto anche ai malati che potranno usufruire del supporto delle associazioni di volontariato. In particolare, Mani ha chiesto ai centenari della Sardegna e alle loro famiglie di presenziare per porgere uno speciale saluto a Benedetto XVI.

Fonte: http://unionesarda.ilsole24ore.com/in_sardegna/?contentId=37318

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